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Cenni storici
I primi casi di brucellosi sono stati osservati attorno al 1850 durante la Guerra di Crimea, ma solo alla fine del 1800 il veterinario danese Bernhard Bang ha isolato il batterio brucella, responsabile della malattia, inizialmente denominata malattia di Bang. Successivamente, ai primi del ‘900, il medico e archeologo maltese Themistocles Zammit ottenne un cavalierato per aver intuito che il consumo di latte non pastorizzato rappresentava la principale causa di contagio dell’infezione. La malattia prese quindi il nome di febbre maltese. L’infezione è stata definita anche “febbre ondulante” per l’andamento caratteristico della febbre, che si manifesta in maniera intermittente con picchi che scompaiono e ricompaiono nel corso del tempo.
Che cos'è
La brucellosi è una zoonosi (malattia infettiva trasmessa dagli animali all’uomo) causata dal batterio brucella, coccobacillo aerobico intracellulare che si insedia negli organi riproduttivi degli animali ospiti, causando aborti e sterilità.
A oggi sono state identificate 8 specie del batterio, 4 delle quali sono particolarmente patogene per l’uomo:
- brucella melitensis (ovini);
- brucella suis (suini);
- brucella abortus (bovini);
- brucella canis (cani).
La malattia è presente in tutto il mondo, ma è maggiormente diffusa nei Paesi del Mediterraneo, in India, nei Paesi mediorientali, nell’Asia centrale e in America Latina.
Come si trasmette
La modalità di trasmissione più frequente è attraverso il consumo di cibi o bevande contaminate. Il batterio, infatti, viene secreto nel latte degli animali infetti che, se non pastorizzato, costituisce un veicolo dell’infezione per l’uomo.
Il contagio può avvenire anche tramite inalazione (sono a rischio soprattutto coloro che lavorano nei laboratori dove vengono coltivati questi batteri), oppure tramite contatto con peli o secrezioni degli animali. Allevatori e veterinari sono particolarmente a rischio di contagio.
Quali sono i sintomi
I sintomi iniziali comprendono febbre, sudorazioni, malessere generale, anoressia, mal di testa, dolore muscolare e stanchezza e possono essere confusi con quelli di una semplice influenza.
L’evoluzione della malattia può portare alla comparsa di artrite, gonfiore dei testicoli o dell’area dello scroto, endocarditi, sintomi neurologici (raramente), depressione, ingrossamento di fegato e milza. La febbre costituisce il sintomo principale. È caratterizzata da un andamento irregolare, con sbalzi giornalieri fino a 38-39°C e, nei casi non trattati, continua ad avere un andamento altalenante nel corso della settimana. Il tempo di incubazione dell’infezione è di 8-20 giorni.
Come viene diagnosticata
Poiché la malattia è caratterizzata da sintomi poco specifici, per porre diagnosi di brucellosi è necessario innanzitutto valutare la presenza di eventuali fattori quali il rischio professionale, la permanenza del paziente in zone endemiche o la possibile ingestione di cibi contaminati.
La diagnosi è basata sulla presenza nel sangue di un’elevata concentrazione di anticorpi contro il batterio, seppure la certezza diagnostica si ottiene unicamente dall’isolamento del batterio dal sangue, dal midollo osseo o da altri tessuti.
Andamento della malattia
La gravità della malattia dipende dalle condizioni immunitarie e nutrizionali del paziente e dalla carica infettiva.
La prognosi è generalmente molto buona. Nei casi di brucellosi acuta non complicati i sintomi migliorano rapidamente entro poche settimane e la remissione completa si ottiene entro 2-6 mesi. In alcuni casi, tuttavia, la malattia se non trattata può evolvere in una forma cronica e debilitante, che comprende casi di neurobrucellosi. Nei soggetti con scompenso cardiaco, inoltre, la prognosi può essere particolarmente sfavorevole. Il rischio di morte per brucellosi è inferiore al 2%.
Terapie disponibili
La terapia antibiotica si è dimostrata efficace nell’abbreviare la durata della malattia, alleviarne i sintomi e ridurre l'incidenza delle forme complicate e delle ricadute. Dal momento che il batterio, pur non essendo un patogeno intracellulare, può sopravvivere all’interno dei macrofagi, è necessario impiegare una combinazione di antibiotici che, da una parte penetrino le membrane cellulari e dall’altra evitino il rischio di ricadute.
Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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