Malattie infettive: la battaglia non si ferma


Nel corso della storia, l’uomo ha cercato vari modi per difendersi dalle infezioni: uno dei più antichi è la pratica della quarantena, che prende il nome da un provvedimento varato nel corso della peste che nel 1377 falcidiò l’Italia del Nord: per quaranta giorni fu imposto un divieto di navigazione a tutte le imbarcazioni provenienti dalle regioni colpite. A partire dal 1400 l’isolamento dei parenti dei malati, in particolare degli appestati, diventò una delle misure più comuni di limitazione dei contagi.

La pulizia, difesa antica
Fin dall’antichità, le civiltà più avanzate compresero il ruolo della pulizia nel contenimento delle infezioni. Nel 1795 il medico americano Garden notò la relazione tra un’infezione della pelle, nota col nome di erisipela, e la febbre puerperale che colpiva le donne nei giorni successivi al parto. Fu un altro medico, Charles White, a dimostrare che i casi di febbre postparto diminuiscono se si mantiene una stretta igiene del materiale usato per l’espulsione del bambino e se si evitano le esplorazioni vaginali.
Nel 1847 il medico tedesco Ignaz Semmelweiss riuscì a far crollare il numero di pazienti affette da febbri puerperali dal 18 all’1,2 per cento solo invitando i propri studenti di medicina, che arrivavano persino a praticare esplorazioni vaginali subito dopo aver eseguito autopsie su cadaveri, a lavarsi le mani con un disinfettante. Semmelweiss non fu molto ascoltato dai suoi contemporanei, ma è considerato l’inventore della moderna asepsi, cioè l’eliminazione totale di germi infettivi mediante sterilizzazione.
Nel 1854 il medico John Snow dimostrò invece la natura infettiva del colera e la sua trasmissione attraverso acque infette.

La scoperta di virus e batteri
Dopo la scoperta dei batteri, avvenuta nel 1857 a opera del medico francese Louis Pasteur, si diffuse la consapevolezza che le malattie infettive sono trasmesse da germi che possono essere eliminati attraverso diverse tecniche di sterilizzazione (col calore, con sostanze chimiche eccetera).
Alla fine del XIX secolo, alcuni scienziati scoprirono che diversi agenti infettivi non erano visibili al comune microscopio ottico: tali germi furono in seguito chiamati virus. La prima malattia virale di cui fu riconosciuta l’origine fu l’afta epizootica. Nel 1878 il medico anglo-cubano Carlos Finley ipotizzò che la febbre gialla avesse un’origine virale e che il vettore di trasmissione fosse una zanzara. Nel 1908 Landsteiner e Popper scoprirono il virus della poliomielite.

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I primi farmaci contro le infezioni e la penicillina
Nel 1910 fu messo a punto il Salvarsan, un composto a base di arsenico in grado di combattere l’infezione sifilitica: il farmaco aveva però gravi effetti tossici.
Nel 1932 il chimico tedesco Gerhard Domagk testò il potere battericida di diversi coloranti tessili e identificò il prontosil, un agente in grado di bloccare la replicazione batterica. Un chimico francese scoprì quindi che il prontosil era in realtà un “profarmaco”, ovvero una sostanza che si trasforma nel farmaco vero e proprio solo nell’organismo umano: in questo caso la molecola si trasformava in sulfonamide, che ha un effetto batteriostatico (che blocca, cioè, la replicazione dei batteri). La sulfonamide è il capostipite della famiglia dei sulfamidici, farmaci tuttora in uso. Per la sua scoperta Domagk vinse, nel 1939, il premio Nobel.
Già alla fine dell’Ottocento alcuni naturalisti avevano notato che alcuni funghi e lieviti sono in grado di uccidere i batteri, ma solo nel 1929 Alexander Fleming sperimentò il potere battericida del fungo Penicillium notatum. La sua scoperta fu applicata con successo solo a partire dalla seconda guerra mondiale, quando la penicillina venne prodotta industrialmente. Il farmaco fu commercializzato alla fine degli anni Quaranta. La penicillina è il capostipite di una famiglia di antibiotici chiamati betalattamici per il tipo di struttura chimica che li contraddistingue. I betalattamici agiscono distruggendo la parete cellulare dei batteri. Altri antibiotici, scoperti successivamente grazie alla ricerca farmaceutica, agiscono con il medesimo meccanismo: si tratta delle cefalosporine, della vancomicina, della cicloserina e della bacitracina. E’ grazie al sostegno delle imprese del farmaco che la ricerca ha fatto, nel campo degli antibiotici, progressi sempre più rapidi, scoprendo in pochi decenni importanti farmaci.

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Se un solo farmaco non basta
Nel 1944 fu messo a punto il primo antibiotico aminoglicosidico, anch’esso derivato da un fungo. Gli aminoglicosidi uccidono il batterio impedendo la sintesi delle proteine e vennero usati fin dagli esordi, in combinazione con i betalattamici. Fu subito chiaro, infatti, che alcuni batteri non potevano essere eliminati con un solo tipo di antibiotico.
Nel 1949 videro la luce le prime tetracicline, attive nei confronti di alcuni ceppi batterici insensibili alla semplice penicillina.
Nel 1952 vennero sintetizzati i macrolidi che hanno la caratteristica di distribuirsi più facilmente nei tessuti e di bloccare completamente la sintesi proteica dei batteri.
Nel 1987 fu registrato il primo antibiotico della famiglia dei fluorochinoloni che agiscono direttamente sulla sintesi del DNA batterico, inducendo una rapida morte dell’agente infettivo.

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Contro i virus armi recenti
I primi farmaci antivirali furono invece commercializzati solo negli anni Settanta, anche se la diffusione dell’epidemia di AIDS, indotta dal virus dell’HIV, ha prodotto un aumento degli investimenti nel campo della ricerca degli antivirali e la messa a punto di diverse molecole con meccanismi d’azione sempre più sofisticati.
I farmaci antivirali più recenti, degli anni ’90, i cosiddetti inibitori delle proteasi, hanno permesso di trasformare l’AIDS, malattia che un tempo conduceva rapidamente alla morte, in una malattia più controllabile, consentendo ai malati di avere una vita migliore e più lunga.
Ma la battaglia della ricerca e delle imprese del farmaco che la sostengono contro virus e batteri non è terminata: poiché si tratta di organismi viventi, gli agenti infettivi sono in grado di adattarsi alle armi che l’uomo mette a punto per combatterli. Negli ultimi anni il problema che gli infettivologi devono affrontare è quello delle resistenze: solo un uso corretto dei farmaci può limitarne l’insorgenza e la diffusione.

Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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La terapia antibiotica: istruzioni per l’uso

Prima di prescrivere un antibiotico, il medico considera due fattori: il paziente e la causa della malattia. Riguardo al paziente, in particolare, valuta la presenza di allergie, la funzionalità epatica e renale, la possibilità di assumere la terapia per bocca, la gravità della malattia, l’età e, nel caso delle donne, l’eventualità di una gravidanza, se la paziente allatta o assume contraccettivi orali. La terapia antibiotica necessita di una scrupolosa aderenza alla prescrizione: è di fondamentale importanza assumere la dose appropriata per la malattia che si deve curare, osservare la via di somministrazione indicata e rispettare la durata della terapia. Contravvenire a tali obblighi potrebbe causare un fallimento terapeutico, la comparsa di reazioni avverse e l’insorgenza di resistenze batteriche.


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