|
|
|
|
Di
epatite si parlava già in Mesopotamia (codice di Hammurabi) dove
l’ittero e i suoi sintomi erano ben riconosciuti. Nel XVIII secolo
l’itterizia decimava anche la Grande Armée: fu René Laennec, medico
dell’esercito imperiale, a descrivere il fegato cirrotico (dal greco
“kirrhos”, cioè color bronzo). Ed è probabile che Napoleone stesso morì
proprio per le conseguenze di un’epatite. Dal XX secolo furono aghi e
siringhe usati per le vaccinazioni, non adeguatamente sterilizzati, a
diventare veicolo di contagio: nel 1942, quando le truppe americane
furono vaccinate contro la febbre gialla, si infettarono 300 mila
soldati. Nel 1947 l’epatologo inglese McCallum identificava l’epatite A
e l’epatite B. Lo scienziato statunitense Baruch Blumberg nel 1976 fu
insignito del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia per
l’identificazione e la caratterizzazione del virus dell’epatite B (HBV).
Che cos’è l’epatite e da cosa è causata
È una malattia infettiva causata da un virus che colpisce il fegato.
Sono diversi i virus coinvolti e diversa è la distribuzione e la
frequenza di infezioni e malattie. I quadri clinici, tuttavia, sono
molto simili tra loro per sintomatologia e decorso. A seconda
dell’agente che la provoca, si distinguono epatite A, B, C, D ed E.
Come si manifesta
L’epatite C decorre spesso in maniera asintomatica ed in misura minore
le altre. Quando compaiono, i sintomi sono: stanchezza, spossatezza,
mal di testa, febbre. In alcuni casi si manifestano i segni di
un’epatite acuta: colorito giallastro di cute e mucose (ittero), urine
scure (ipercromiche) e feci chiare.
I sintomi di epatite acuta sono più frequenti nel caso di un’infezione
da virus dell’epatite A, mentre gli altri virus causano una patologia
che tende con più facilità a diventare cronica (cioè durare per tutta
la vita).
Quando la patologia diventa cronica, può evolvere in cirrosi epatica e,
in ultima analisi, in epatocarcinoma (tumore del fegato).
Come si trasmette
La trasmissione dei virus A ed E avviene per via oro-fecale:
l’infezione si contrae assumendo alimenti crudi come verdura e
molluschi, oppure acqua contaminati da materiale fecale in cui è
presente il virus. L’infezione si manifesta dopo un periodo di
incubazione che varia tra le 2 e le 8 settimane.
Nel caso dell’epatite E, la trasmissione da persona a persona si
verifica meno frequentemente rispetto al virus dell’epatite A.
La trasmissione dei virus B e C avviene attraverso il contatto di
fluidi corporei, quali sangue, sperma, fluidi vaginali e saliva. Si
tratta sia di situazioni in cui si ha uno scambio evidente di fluidi
biologici, come per esempio una trasfusione di sangue, sia di piccole
ferite o tagli che possono favorire anche in maniera non apparente il
passaggio del virus. Il virus dell’epatite C ha minore resistenza
all’aria, e quindi la trasmissione è meno efficiente nei rapporti
sessuali. Il periodo di incubazione può variare da 4 a 12 settimane: in
alcuni casi possono trascorrere anche diversi mesi.
Il virus D viene definito difettivo: può infatti agire solo se il
paziente è infettato anche dal virus dell’epatite B.
È possibile che il paziente venga infettato contemporaneamente da
entrambi i virus (coinfezione), oppure che contragga in primis
l’infezione da epatite B e solo successivamente entri in contatto con
il virus dell’epatite D (in questo caso si parla di superinfezione). Le
modalità di trasmissione sono quindi le stesse rispetto al virus
dell’epatite B.
Quali sono i fattori di rischio
Per epatite A ed E i fattori di rischio sono le situazioni in cui si
verificano le condizioni igienico-sanitarie scarse; per le altre (B, C
e D), nei casi in cui si viene a contatto con fluidi biologici, anche
in maniera non evidente.
Come viene diagnosticata
Si effettuano esami del sangue per valutare i parametri di funzionalità
epatica: in particolare, si quantificano i livelli di transaminasi,
bilirubina, albumina sierica, alfa-fetoproteina
(AFP), aminotransferasi (alanina aminotransferasi, ALT e
aspartato aminotransferasi, AST), fosfatasi alcalina
(FA), gamma-glutamil transpeptidasi (GGT) e il
tempo di protrombina (PT). Esami istologici, ecografia addominale, TAC
e risonanza magnetica sono usati per valutare la presenza e il grado di
cirrosi epatica ed eventuale epatocarcinoma.
Indagini sierologiche possono riscontrare la presenza di anticorpi
specifici contro i virus.
Nel caso dell’epatite B e C, il rilevamento nel sangue dell’antigene di
superficie del virus B (HBs Ag) e del RNA del Virus C
(HCV-RNA), fornisce diagnosi certa di infezione acuta.
Nel caso di sospetta epatite A o E si effettuano analisi per la ricerca
di anticorpi specifici anche nelle feci.
Esiste una cura?
Nei casi di sintomatologia acuta, il paziente deve essere ricoverato in
ospedale: qui viene sottoposto a cure di supporto inclusa
l’alimentazione parenterale se necessaria e vengono
monitorati i parametri della funzionalità epatica.
Nella maggioranza dei casi l’epatite A si autolimita, risolvendosi in
guarigione. Solo nell’1% dei casi può evolversi in epatite fulminante
che necessita del trapianto di fegato.
L’epatite B tende a cronicizzare nel 5-10% dei casi: può evolvere a
cirrosi epatica ed epatocarcinoma. Esistono farmaci, come
l’interferone, che non eliminano il virus, ma consentono di tenere
l’infezione sotto controllo, evitando la progressione della
patologia. In caso di una patologia in stadio avanzato,
vengono usati farmaci antivirali per via orale come lamivudina,
adefovir, entecavir e tenofovir.
Fino al 90% dei casi l’epatite C può diventare cronica. Si adotta la
cura con interferone e ribavirina: in alcune situazioni la terapia ha
successo ed è possibile eradicare il virus, giungendo quindi a una
guarigione definitiva. Nei paesi occidentali rappresenta la causa
principale di epatocarcinoma. Oggi esistono anche nuovi farmaci che
inibiscono la proteasi del virus ed offrono nuove speranze di eradicare
la malattia.
Anche l’epatite D può cronicizzare. Il suo decorso è molto aggressivo,
con una rapida progressione verso cirrosi ed epatocarcinoma. Il
trattamento si basa sulla somministrazione di interferone: la
guarigione tuttavia viene raggiunta solo in una percentuale limitata di
soggetti, perché la maggior parte dei pazienti non risponde alle cure.
È possibile prevenirla?
La migliore prevenzione dell’epatite A ed E consiste nel miglioramento
delle condizioni igienico-sanitarie e nell’immunizzazione tramite
vaccino.
Esiste un vaccino contro l’HBSAg, altamente efficace, che fornisce
immunità di lunga durata. Dato che il virus può trasmettersi dalla
madre al feto, al momento della nascita è necessario somministrare
immunoglobuline al bambino, e vaccinarlo in un secondo tempo. I
conviventi di pazienti con epatite cronica devono vaccinarsi e
osservare norme igieniche adeguate, in particolare evitando promiscuità
sessuale, scambi di oggetti che possano provocare tagli o passaggio di
fluidi anche in quantità minima.
Non esiste un vaccino per l’epatite C e D.
Si ringrazia la SIF
– Società
Italiana di Farmacologia per la collaborazione
|
|
|
|
|
|
È un corso sulle scoperte della scienza medico-farmaceutica, in chiave storica e di attualità, sulle regole per un corretto uso dei farmaci e sulle prospettive che il mondo della ricerca può offrire ai giovani.
Il corso, già adottato in numerose classi del triennio superiore, è riservato agli insegnanti ed integralmente scaricabile.
|
|
|
|