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Dalla corteccia di Chincona alla medicina cinese, oggi gli studi puntano sui vaccini.
Il primo rimedio efficace per il trattamento della malaria impiegato nella storia è la corteccia della pianta di Chincona, scoperta in Perù nel 1600 e importata in Europa dai Gesuiti. Nel 1800 in Francia, i chimici P.J. Pelletier e J.B. Caventou ricavano dalla corteccia di questa pianta il principio attivo antimalarico in forma pura: un alcaloide che sarà successivamente chiamato "chinino". Gli olandesi sfruttano la scoperta francese, coltivando la Chincona ledgeriana in grandi piantagioni nelle loro colonie in Indonesia. La corteccia di Chincona contiene anche altri alcaloidi che hanno proprietà antimalariche (chinidina, cinconina, cinconidina), ma quello comunemente impiegato è rimasto il chinino.
Per molti decenni, nonostante i suoi effetti collaterali, il chinino è stato l'unico farmaco antimalarico disponibile. Il problema della sintesi di nuove molecole efficaci si evidenzia durante la Prima guerra mondiale, quando il blocco dei porti e gli attacchi dei sottomarini ostacolano gli approvvigionamenti di chinino in gran parte d'Europa. Negli anni successivi si scoprono la pamachina, la primachina e la mepacrina. Ma il grande impulso alla ricerca arriva durante la Seconda guerra mondiale, con la necessità di proteggere le truppe statunitensi impegnate nel Pacifico.
Il secondo dopoguerra
Nel secondo dopoguerra si scoprono la clorochina, l'amodiachina, la pirimetamina e il proguanile (quest'ultimo impiegato per la profilassi). Appare subito evidente che l'impiego su larga scala dei farmaci per la profilassi avrebbe selezionato ceppi chemioresistenti, vale a dire non più controllabili con i farmaci correnti. La clorochino-resistenza compare in Sud America e nel Sud-Est Asiatico nel 1960. Vengono allora impiegate associazioni di sulfonamide e pirimetamina e di chinino con tetracicline. Durante la guerra del Vietnam si ripropone il problema della protezione delle truppe statunitensi, che sprona la ricerca farmaceutica a cercare nuove terapie: presso l'Istituto di Ricerca "Walter Reed" dell'esercito statunitense viene sintetizzata la meflochina, un nuovo farmaco antimalarico che avrebbe dovuto superare i problemi di resistenza. In Tailandia compaiono presto ceppi resistenti anche alla meflochina.
A quel punto, la medicina occidentale cambia direzione e, attingendo dalla medicina tradizionale cinese, ripesca il qing hao su, un estratto dalla pianta Artemisia annua che da secoli viene impiegato in Oriente, sotto forma di infuso, per il trattamento delle febbri. Nel 1971 dalla pianta viene estratta l'artemisinina, farmaco senza nessuna somiglianza con i precedenti antimalarici, dalla quale vengono successivamente sintetizzati l'artemetere, l'artesunato e l'arteetere. Attualmente gli studi continuano, allo scopo di scoprire e sintetizzare nuovi farmaci antimalarici, sempre più efficaci e sicuri, mentre le biotecnologie consentono di sperimentare alcuni vaccini, per ora ancora poco efficaci, ma che potrebbero un giorno fornire una risposta definitiva a questo flagello.
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