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Cenni storici
Nonostante alcuni riferimenti alle malattie della mammella siano stati rinvenuti in papiri egiziani e in antichi testi di medicina, la prima vera descrizione di un tumore della mammella e del suo trattamento chirurgico si deve a Galeno (130 a. C.), il quale descrisse l’intervento di asportazione dell’organo eseguito da Ezio, medico dell'imperatore Giustiniano. Ai tempi di Ippocrate le tecniche chirurgiche erano riservate ai casi più avanzati, mentre per quelli iniziali si ricorreva all'azione locale di sostanze emollienti. A partire dal Medioevo i medici hanno descritto casi di tumore nella loro pratica clinica con la conclusione che non vi fosse alcun trattamento in grado di curarli. Il secolo XVII, con la scoperta del legame tra carcinoma mammario e linfonodi ascellari, segnò un momento storico importante per la conoscenza e il trattamento della patologia. L’asportazione di linfonodi, tessuto mammario e parete muscolare fu eseguita per la prima volta dal chirurgo francese J. L. Petit (1674-1750). Quest’ultimo pose le basi per il primo intervento chirurgico di mastectomia, eseguito nel 1882 dal chirurgo americano W. S. Halsted (1825-1925). Partendo dall’osservazione che in molte donne con tumore della mammella erano presenti depositi tumorali nei linfonodi ascellari, Halsted ipotizzò che la malattia restasse inizialmente confinata nella mammella, per migrare in una fase successiva nei linfonodi ascellari e da questi in qualsiasi organo attraverso i vasi sanguigni. Questo concetto ha indotto ad assumere approcci terapeutici che comprendevano la rimozione chirurgica dell’intera mammella, dei linfonodi ascellari e delle vie linfatiche contenute nei muscoli pettorali. L’intervento di Halsted fu in grado di dimostrare che almeno una parte delle donne operate poteva guarire definitivamente.
Cosa sono i tumori della mammella?
La mammella è un organo ormono-sensibile costituito, nella donna adulta, da tessuti ghiandolare, connettivo (con funzione di sostegno) e adiposo (grasso) che ne determinano dimensioni, forma e consistenza. Lo sviluppo della mammella è regolato da una serie di fattori ormonali: in caso di alterazioni possono determinarsi condizioni patologiche benigne o maligne.
Le lesioni maligne, o tumori, sono causate dalla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria, che si trasformano, acquisendo la capacità di migrare nei tessuti circostanti e di colonizzare altre sedi dell’organismo.
La loro diffusione
A circa 2.250.000 italiani è stato diagnosticato un tumore. 1.250.000 di essi sono donne e, con riferimento a queste ultime, il tumore della mammella si rivela il più frequente (42%, oltre 500.000). Secondo altre fonti in Europa sono stati stimati 1,7 milioni di morti per tumore nel 2008; la patologia con sede nella mammella è responsabile del 7,5% dei decessi. Si stima che nel 2008 in Europa siano sopravvenuti 3,2 milioni di nuovi casi di tumore, di cui il 53% negli uomini e il 47% nelle donne. La mammella figura fra le sedi tumorali più frequenti, con il 13,1%. Per questo tipo di tumore la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi in Europa è superiore o vicina all’80%. Rispetto a quelli europei medi, l’Italia presenta, sempre per il tumore della mammella, valori di sopravvivenza migliori.
L’incidenza di tale tipo di tumore presenta un’ampia variabilità geografica: è quasi 10 volte più frequente nelle popolazioni occidentali rispetto alle aree sottosviluppate; i tassi sono molto elevati negli Stati Uniti e nel Nord Europa, intermedi nel Sud e nell’Est europeo e in Oceania, più bassi nei Paesi del Sud del mondo (Asia, Africa e America Latina).
I fattori di rischio
I fattori che si associano a un aumentato rischio di sviluppare tumore della mammella sono numerosi. Sono più a rischio le donne con oltre 50 anni che presentano alterazione di specifici fattori genetici; per esempio i geni BCRA1 e BCRA2, se mutati, sono responsabili di un caso su due di tumori di mammella o ovaio. Altro fattore è quello familiare: il 10% delle pazienti ha infatti più di una familiare che ha sviluppato lo stesso tumore prima della menopausa. L'esposizione per un lungo periodo di tempo agli estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili, facilita la comparsa di questa patologia. Anche la dieta, l’obesità, i fattori ambientali, le abitudini di vita (fumo di sigaretta, consumo di bevande alcoliche) e precedenti malattie a carico della mammella possono aumentare il rischio di sviluppare un tumore. Nonostante ciò, più della metà dei casi non è riconducibile ad alcun fattore di rischio noto.
Come si manifestano?
Sono spesso difficilmente distinguibili dalle forme benigne. Il dolore al seno non rappresenta un sintomo di carcinoma mammario; allo stadio iniziale, infatti, il tumore può essere totalmente asintomatico. All’aumentare delle dimensioni del tumore si possono osservare alterazioni della mammella o a livello della zona ascellare (ispessimenti o protuberanze, variazioni della forma o delle dimensioni di un seno, rilievi o infossamenti sulla superficie) o nel capezzolo (secrezione di liquido, variazione della consistenza o retrazione), un cambiamento dell’aspetto della pelle della mammella, del capezzolo o dell’areola (arrossamento, aspetto squamoso, gonfiore) o una sensazione di calore in tali zone. Quando il tumore ha già sviluppato metastasi, i sintomi variano a seconda della sede della metastasi stessa.
Come si distinguono i tumori della mammella?
Si distinguono in forme localizzate, dette in situ, che non danno luogo a metastasi, e in forme infiltranti.
Le forme in situ possono essere lobulari (frequenti tra le donne più giovani e considerate fattore di rischio per future forme invasive) e duttali. Questi tumori registrano negli ultimi anni un’incidenza crescente; la loro rilevazione è frutto dei programmi di screening effettuati con la mammografia.
Le forme infiltranti si diffondono inizialmente per via linfatica, determinando la formazione di metastasi in primo luogo ai linfonodi ascellari e mammari interni, per poi diffondersi in altri distretti del corpo. La forma più frequente è il carcinoma duttale infiltrante (IDC).
Esiste poi un gruppo eterogeneo di malattie benigne, che comprende la displasia mammaria (mastopatia fibrocistica) e i tumori benigni (per es. il fibroadenoma), che possono simulare il tumore per caratteristiche cliniche (noduli palpabili, retrazione della cute, secrezione del capezzolo) e pertanto devono essere prese in considerazione al momento della diagnosi. In una buona percentuale dei casi queste malattie regrediscono spontaneamente fino a scomparire del tutto con la menopausa.
Le terapie attualmente disponibili
La chirurgia rimane ancora oggi l’opzione terapeutica principale. Quando viene asportato solo il tumore con un’area di tessuto mammario circostante si parla di chirurgia conservativa, mentre quando viene asportata tutta la mammella si parla di chirurgia demolitiva. Spesso si ricorre alla chirurgia ricostruttiva per riportare l’organo a criteri di simmetrie, volume e forma accettabili, riducendo l’impatto psicologico di un intervento radicale.
I farmaci chemioterapici agiscono bloccando il meccanismo di divisione cellulare in una o più fasi, distruggendo così la cellula neoplastica. Possono essere somministrati prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante), subito dopo (terapia adiuvante) o nel caso si rilevino metastasi (terapia palliativa).
Gli estrogeni costituiscono fattori di crescita per le cellule tumorali. La terapia ormonale si basa sulla somministrazione di farmaci che bloccano il meccanismo di produzione o l’attività degli estrogeni, ritenuti coinvolti nell’insorgenza e nello sviluppo di 2/3 dei tumori mammari. Può essere eseguita in sequenza dopo la chemioterapia, oppure in alcuni casi da sola. I farmaci ormonali si dividono in antiestrogeni (impediscono alle cellule tumorali di utilizzare gli estrogeni prodotti dall’organismo, inibendone la crescita), inibitori delle aromatasi (bloccano la produzione degli estrogeni) e analoghi dell’LH-RH (inducono uno stato di menopausa farmacologica attraverso il blocco degli ormoni ipofisari che stimolano la sintesi degli estrogeni). Questi farmaci vengono somministrati per via orale e in alcuni casi per via intramuscolare o sottocutanea. Recentemente sono entrati a far parte dell’armamentario terapeutico gli anticorpi monoclonali.
È possibile prevenire il tumore della mammella?
La prevenzione si definisce primaria quando consente di evitare l’esordio della malattia in soggetti sani con importante familiarità. Si attua attraverso una profilassi immunitaria, l’eliminazione e la correzione delle possibili cause della malattia, la correzione dello stile di vita, l’individuazione e la correzione delle situazioni che predispongono alla malattia.
Numerosi studi clinici hanno dimostrato l’importanza di un’alimentazione sana nella prevenzione dell’insorgenza del tumore e delle sue recidive. Una corretta alimentazione include un apporto elevato di fitoestrogeni (ormoni vegetali simili agli estrogeni femminili, contenuti principalmente nella soia e nei suoi derivati, nelle alghe, nei legumi e nel cavolo), di zuccheri grezzi e di amidi, da preferirsi rispetto agli zuccheri raffinati, di vegetali, in particolare crucifere (cavolfiore, cavolo, cavolini di Bruxelles) che agiscono in modo positivo nei confronti del metabolismo ormonale.
La prevenzione secondaria è volta a impedire l’evoluzione a malattia conclamata e comprende tutte le misure atte a limitare l’aumento del numero di casi di tumore nella popolazione. La diagnosi precoce (mediante programmi di screening) rappresenta l’intervento di prevenzione secondaria fondamentale perché rende ancora attuabili interventi terapeutici in grado di condurre alla guarigione. I programmi di screening prevedono il controllo periodico e sistematico delle mammelle, effettuato con un esame clinico (palpazione effettuata dal medico e autopalpazione), con la mammografia, con l’ecografia, con l’esame citologico o istologico effettuato su un campione di tessuto prelevato, con la risonanza magnetica, che consente di rilevare tumori anche di piccole dimensioni.
La prevenzione terziaria è volta a proteggere la paziente dalle ricadute o da eventuali metastasi dopo che la malattia è stata curata. Prevede l’impiego della chirurgia, della radioterapia o della chemioterapia, o tutte e tre contemporaneamente.
Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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