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Le malattie cardiocerebrovascolari costituiscono la principale causa di morte nella maggior parte dei Paesi occidentali, essendo malattie dell'età avanzata strettamente legate ai cambiamenti degli stili di vita tipici dell'ultimo secolo. |
La storia
Se Ippocrate già descriveva l'ictus cerebrale (che chiamava apoplessia, ovvero "colpo improvviso") circa 2400 anni fa, l'infarto cardiaco fu identificato in quanto tale solo nel 1912 dal medico statunitense James B. Herrick, che per primo attribuì all'indurimento delle arterie, e in particolare delle coronarie, le malattie vascolari. Tale indurimento, che fu battezzato con il nome di aterosclerosi, è oggi considerato uno dei maggiori fattori di rischio per l'infarto e per la morte cardiaca improvvisa.
Per quanto riguarda l'ictus, invece, il medico Jacob Wepfer, nel 1658, lo attribuì a un sanguinamento a livello cerebrale. Solo nel 1928, però, fu identificato l'ictus ischemico, ovvero quello dovuto alla mancanza di ossigenazione causata da un coagulo all'interno delle arterie cerebrali, con un meccanismo del tutto analogo a quello dell'infarto cardiaco: le due patologie, infatti, hanno cause simili.
Prima del XX secolo ben poche persone morivano di malattie cardiovascolari: in parte perché erano minori le probabilità di arrivare alla vecchiaia essendo più alta la mortalità per altre malattie, specie quelle infettive, in parte perché le abitudini di vita e la più intensa attività fisica fornivano una protezione contro lo sviluppo dell'aterosclerosi e degli altri fattori di rischio cardiovascolari oggi ben conosciuti, cioè ipertensione, colesterolemia elevata, sovrappeso, sedentarietà.
Il tasso di malattie cardiovascolari è aumentato tanto tra il 1940 e il 1967 da indurre l'Organizzazione Mondiale della Sanità a proclamare, proprio in quell'anno, lo stato di emergenza.
Non a caso le malattie cardiovascolari sono anche quelle sulle quali si sono sviluppate due importanti specialità della medicina moderna: l'epidemiologia e la medicina preventiva.
Prevenzione e cura
Nel 1948 iniziò uno degli studi più famosi della storia della medicina: si tratta dello studio Framingham, che prende il nome dall'omonima cittadina statunitense che per trent'anni è stata sotto la lente d'osservazione degli epidemiologi. È grazie a questo studio che noi oggi conosciamo i principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari e le abitudini più nocive per la salute. Nello stesso tempo, osservando e registrando il modo di vivere degli abitanti di Framingham, è stato possibile mettere in luce alcuni comportamenti virtuosi (come un'alimentazione controllata, la pratica di un'attività fisica regolare e il mantenimento di un peso corporeo nella norma) che consentono di evitare infarti e ictus, prolungando anche di diversi anni la vita media di una popolazione: in tale ambito, la migliore prevenzione è nelle mani del singolo individuo.
Anche in questo campo le imprese del farmaco si sono messe in gioco nella speranza di fornire armi farmacologiche sempre più efficaci sia nella prevenzione sia nella cura di queste malattie. Grazie agli studi di prevenzione è stato possibile identificare nell'acido acetilsalicilico una delle sostanze in grado di proteggere le arterie dei soggetti a rischio grazie alla sua azione antiaggregante. Diversi studi sono stati necessari per mettere a punto la dose più adatta alla prevenzione e i criteri di durata della stessa. Con la scoperta delle cosiddette statine, che agiscono sul metabolismo del colesterolo, principale responsabile della formazione delle placche aterosclerotiche all'interno delle arterie, i medici hanno avuto a disposizione una nuova potente arma nella lotta a queste malattie.
Sul piano della cura è da segnalare l'entrata in commercio, alla fine degli anni Ottanta, dei cosiddetti trombolitici: si tratta di sostanze in grado di sciogliere il coagulo che ostruisce le coronarie in caso di infarto del miocardio o le arterie cerebrali in caso di ictus. Benché negli ultimi anni siano state sviluppate anche tecniche interventistiche come l'angioplastica, questi farmaci, soprattutto quando possono essere usati molto precocemente dopo l'esordio dei sintomi, continuano a salvare vite umane e a limitare i danni degli eventi acuti cardiovascolari.
I fattori di rischio
I fattori di rischio possono essere suddivisi in quelli non modificabili (come ad esempio l'età e il sesso) e in quelli in parte modificabili (come ad esempio una dieta scorretta e dei valori pressori elevati).
Tra questi, i valori pressori elevati sono ritenuti i più importanti e sono considerati responsabili, in alta percentuale, del rischio di eventi ischemici nella popolazione.
Altri fattori di rischio modificabili comprendono il fumo di sigaretta, l'eccessivo consumo di alcool, l'obesità, il diabete mellito, la malattia della carotide, la fibrillazione atriale e alcune malattie cardiache compresi la coronaropatia, lo scompenso cardiaco, l'ipertrofia ventricolare sinistra e la valvulopatia.
Altri ancora sono riconducibili alla dislipidemia, all'inattività fisica, all'uso elevato di sodio, al basso consumo di frutta e vegetali e all'uso di terapia ormonale contraccettiva e sostitutiva nelle donne.
Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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