La sclerosi multipla o sclerosi a placche


La sclerosi multipla è una grave malattia neurologica cronica, autoimmune e progressivamente invalidante. Colpisce il sistema nervoso centrale, ovvero il cervello, il midollo spinale e i nervi ottici, generando danni al rivestimento protettivo che circonda le fibre nervose: una proteina chiamata mielina.

La malattia e la sua diffusione
La fascia di età più colpita è quella dei giovani tra i 20 e i 35 anni, e in particolare le donne (il rapporto è di circa 2 a 1 rispetto agli uomini). Negli ultimi anni appare in aumento il numero dei giovanissimi colpiti dai primi sintomi.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la malattia sembra essere più diffusa negli Stati Uniti e in Europa, oltre alla Nuova Zelanda e a una parte dell’Australia. In ambito italiano, la maggiore incidenza si registra in Sardegna.
Nel complesso, si stima che oltre tre milioni di persone nel mondo siano affetti da sclerosi multipla. In Italia circa 52.000 persone con 1800 nuovi casi ogni anno. Il costo sociale annuo è stimato in circa un miliardo e 600 milioni di euro.
Può capitare che non dia alcun sintomo per tutta la vita, come hanno rivelato esami mirati eseguiti all’autopsia di persone morte per altre cause.
La malattia fa la sua comparsa quando – per un meccanismo ancora ignoto – il sistema immunitario comincia ad attaccare e distruggere la mielina non riconoscendola più come parte dell’organismo. Compaiono così placche (zone di tessuto cicatriziale) che determinano una perdita di mielina, considerata, alla stregua di un batterio o un virus, come un nemico da annientare.
Senza mielina, i segnali trasmessi attraverso il sistema nervoso centrale non vengono recapitati adeguatamente e la mancata comunicazione tra neuroni dà origine ai sintomi neurologici. Secondariamente possono venire danneggiate anche le fibre nervose (viene definito “danno assonale”).
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Storia naturale
Gli studi epidemiologici e l’esperienza derivante dalla pratica clinica hanno permesso di classificare, secondo l’andamento della malattia, diversi modelli. Quello di gran lunga più comune (90% circa dei casi) è detto recidivante-remittente, ed è caratterizzato da una sequenza di ricadute e miglioramenti. Il restante 10% dei malati contrae una forma progressiva dal momento in cui appaiono i primi sintomi.
All’interno di questi modelli generali, si possono riconoscere quattro forme di sclerosi multipla.

Benigna
Interessa circa il 10% dei malati ed è caratterizzata da uno o due attacchi che non lasciano segni di invalidità. In questo caso le condizioni si stabilizzano per lunghi periodi di tempo e le fasi di remissione possono superare i 10 anni.

Recidivante-remittente
Riguarda il 40% dei malati, i quali dopo ogni ricaduta mostrano un certo recupero. Il susseguirsi delle recidive, variando per gravità e durata, può aggravare i sintomi fino a lasciare segni d’invalidità. Queste ricadute possono verificarsi senza apparenti motivazioni, riconducibili comunque a stress, infezioni e traumi.

Progressiva secondaria
Due malati su 5 (40%), dopo gli attacchi, non manifestano alcun miglioramento. Le loro condizioni iniziano a deteriorarsi progressivamente.

Primaria progressiva
Colpisce un malato su 10. Le persone affette da questa forma mostrano un costante peggioramento senza fasi di remissione che le porta all’invalidità totale.

Sintomi e diagnosi
La perdita di mielina ha conseguenze che variano secondo le aree in cui si verifica, anche se in generale comporta una riduzione di alcune funzioni che dipendono dal sistema nervoso centrale: il controllo del sistema muscolare, della sensibilità cutanea, degli sfinteri e alterazioni delle facoltà visiva, uditiva e fonetica, nonché problemi di equilibrio.
L’evoluzione della malattia nel tempo varia molto da individuo a individuo: maggiore è il lasso di tempo che intercorre tra una recidiva e l’altra, maggiori sono le possibilità che la mielina riesca a riparare i danni; minore è l’intensità dell’attacco, minori sono i disturbi.

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Le date storiche

Molte testimonianze indicano che la sclerosi multipla esisteva molti secoli fa, ben prima che fosse classificata sulla base dei sintomi clinici e delle caratteristiche anatomo-patologiche: la saga islandese di San Thorlakur racconta verosimilmente un caso di sclerosi multipla: una donna vichinga, Halla, che avrebbe presentato tra il 1293 e il 1323 numerosi episodi di cecità momentanea e disturbi della parola, che regredivano in pochi giorni, grazie a sacrifici e preghiere. La storia presenta analogie con quella di Lydwina Von Schiedam, vissuta in Olanda a cavallo tra il XIV e il XV secolo, che sarebbe poi divenuta santa.
Una delle prime descrizioni dettagliate della malattia fu opera di Augusto Federico d’Este, cugino della Regina Vittoria, che a partire dall’età di 28 anni registrò nel suo diario la progressione tipica dei sintomi di sclerosi multipla. Per prima – nel 1822, in seguito al funerale di un amico – arrivò la cecità, durata alcuni giorni. Seguirono a distanza di cinque anni i primi disturbi della deambulazione, incontinenza e impotenza e la paresi delle gambe accompagnata da estrema debolezza. Nel 1840 il peggioramento dei sintomi lo costrinse alla sedia a rotelle.
Di pochi anni più tardi (era il 1838) è la prima descrizione delle tipiche placche di tessuto sclerotico che si osservano in varie aree del cervello e del midollo spinale delle persone colpite dalla malattia: compare nel manuale di anatomia patologica curato dal patologo britannico Robert Carswell.
Occorrerà però attendere ancora trent’anni perché il neurologo francese Jean-Martin Charcot affermi che si tratta di manifestazioni di una specifica malattia distinta dalle altre, che lui chiama nel 1868 “sclerosi a placche”. Pochi anni dopo, nel 1874, il luminare francese manifesta la sua frustrazione con una frase che secondo molti avrebbe influenzato negativamente i successivi tentativi di trovare una cura: “Dopo tutto quello che è stato detto” affermò al termine di una presentazione pubblica “dovrei continuare a torturarvi con la terapia? Non è ancora giunto il momento in cui potremo affrontarla seriamente”.
Negli anni successivi, sul finire del XIX secolo, fu Joseph Jules François Félix Babinski (neurologo francese di origini polacche, cui si deve la descrizione dell’omonimo riflesso plantare ancora oggi usato per segnalare un danno neurologico) a descrivere nel dettaglio le alterazioni tissutali tipiche della sclerosi multipla.
E si arriva al 1913, quando per la prima volta viene effettuata una diagnosi sulla base di un nuovo esame, effettuato sul liquido cefalorachidiano cioè sul fluido che circonda tutto il sistema nervoso centrale. Nel liquido aspirato con un ago dal canale spinale (all’altezza della cresta iliaca), vengono individuate alcune proteine caratteristiche che segnalano la presenza della malattia.
Nel 1950 avviene una importante rivoluzione culturale quando, nel corso di uno storico simposio svoltosi a New York, viene affermato con chiarezza che la sclerosi multipla non è una sorta di disturbo psichiatrico, ma una malattia del sistema nervoso centrale su base organica. Questo modifica sensibilmente la percezione sociale della malattia.
Nel 1973 gli strumenti per diagnosticare la sclerosi multipla si arricchiscono con l’introduzione dei potenziali evocati visivi, una variante dell’elettroencefalogramma che permette, per la prima volta di verificare il funzionamento del cervello in relazione a un compito preciso.
Dall’inizio degli anni Ottanta la risonanza magnetica permette (senza l’uso di radiazioni ionizzanti potenzialmente dannose) di osservare i nuovi focolai infiammatori e di valutare le modificazioni del tessuto nervoso e, quindi, la progressione della malattia.
Nel decennio successivo, grazie all’importante investimento delle imprese del farmaco in questo ambito, l’avvento degli interferoni arricchisce l’arsenale terapeutico di un’arma molto efficace. Fino ad allora la terapia si era basata sull’uso di antinfiammatori, farmaci steroidei e in alcuni casi di immunosoppressori: l’aggiunta di questa nuova classe di farmaci permette di ottenere una riduzione di circa un terzo nella frequenza annua degli attacchi, riducendo sensibilmente la progressione dei danni.
Tra le nuove terapie oggi in fase di sperimentazione grazie all’impegno dei ricercatori figurano gli anticorpi monoclonali e i farmaci orali, che potrebbero permettere un deciso miglioramento della qualità della vita. I nuovi farmaci, in particolare quelli biologici o “intelligenti”, che agiscono su precisi bersagli all’interno dell’organismo e che interferiscono direttamente con i meccanismi degenerativi alla base della sclerosi multipla cambieranno la prognosi di questa malattia: grazie agli sforzi dei ricercatori e delle imprese del farmaco, in futuro questa diagnosi farà meno paura e consentirà a tutti i pazienti, come già accade a un buon numero di essi, di condurre una vita piena ed attiva.

Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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