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Nel 1913, lo scienziato francese
Henri Pieron pubblica il trattato “Le problème physiologique du
sommeil”, primo testo in cui viene esaminata la fisiologia del sonno.
Questo lavoro è considerato l’inizio del moderno approccio di ricerca
sul sonno.
Cos’è l’insonnia
Il termine “insonnia” è apparso per la prima volta nel 1623 e indica la
difficoltà a iniziare e/o mantenere il sonno. L’insonnia viene definita
primaria (rappresenta di per sé una malattia), se comprende una
persistente (almeno 1 mese) difficoltà a iniziare o mantenere il sonno.
È invece definita secondaria se legata a un altro disturbo mentale (per
es. depressione) oppure se generata da condizioni patologiche di altra
natura. Quella solitamente transitoria o di breve durata, in alcuni
casi, può diventare cronica.
L’insonnia transitoria dura fino a 1 settimana. Il più delle volte si
verifica in conseguenza di uno stress acuto e in genere si
risolve quando l'evento stressante non è più presente o l'individuo si
adatta al fattore stressante. Tuttavia, l’insonnia transitoria può
ripresentarsi quando insorgono nuove tensioni.
L’insonnia a breve termine ha una durata di 1-6 mesi. Di solito è
associata a fattori stressanti più persistenti, situazionali (per
esempio un lutto o una malattia) o ambientali (ambienti rumorosi).
L’insonnia cronica ha durata superiore ai 6 mesi. Può essere associata
a una varietà di condizioni mediche e psichiatriche, ma si ritiene che
insorga principalmente in pazienti geneticamente predisposti.
Come si manifesta
Si osservano tre tipologie di esordio: all’insorgenza del sonno
(difficoltà ad addormentarsi); durante il sonno (sonno interrotto da
frequenti risvegli notturni); alla fine del sonno (risveglio alle prime
ore dell’alba e incapacità a riaddormentarsi). Queste tipologie possono
anche verificarsi in combinazione.
Quali sono le cause
Nel 15% dei casi l’insonnia è primaria, nel 50% dei casi è dovuta a
disturbi psichiatrici, nel 25% ad altre patologie, nel 10% ad
alterazioni non patologiche del ritmo sonno-veglia (turnisti,
jet lag).
Nel caso dell’insonnia transitoria le cause possono essere ambientali
(es. troppo rumore o luce, temperature estreme, un letto scomodo) o
legate allo stress.
La causa dell’insonnia primaria è di natura psicofisiologica, ovvero
scaturisce dall’esposizione a un lungo periodo di stress, al quale il
corpo risponde somatizzando tensione e agitazione.
Quali sono i fattori di rischio
Mentre l’insonnia transitoria può verificarsi in qualsiasi persona,
quella cronica sembra svilupparsi in soggetti geneticamente predisposti
. L'evidenza a sostegno di questa teoria è che rispetto a persone che
hanno un sonno normale, coloro che sviluppano insonnia hanno
caratteristiche peculiari (maggiori tassi di depressione e ansia).
Possono sviluppare insonnia facilmente le persone che soffrono già di:
- un disordine primario del sonno (es. apnea notturna,
disordini dei ritmi circadiani o della fase REM)
- un disturbo psichiatrico (es. ansia, schizofrenia,
disordini alimentari)
- dipendenza (assunzione di psicostimolanti, abuso di
alcol)
- dispnea
- disturbi gastrointestinali
- malattie neurologiche
- malattie respiratorie
- disordini reumatici
- dolore
- condizioni patologiche varie (es. disordini
dermatologici).
Quanto è diffusa
L’insonnia è il disturbo del sonno più diffuso e può affliggere persone
di qualsiasi età. Colpisce circa il 15% della popolazione adulta; le
donne hanno 1,4 volte più probabilità di sviluppare insonnia rispetto
agli uomini. Il 20-36% dei pazienti riporta insonnia di durata
superiore a 1 anno. L’insorgenza di insonnia cronica aumenta con l'età
ed è più comune negli anziani (la prevalenza di insonnia cronica sembra
aumentare dal 25% nella popolazione adulta fino a quasi il 50% nella
popolazione anziana).
Come si distingue l’insonnia
La diagnosi di insonnia rappresenta a oggi una sfida per i medici e le
indagini per valutarla una sfida per i ricercatori. In particolare, la
distinzione tra insonnia e altri disturbi del sonno può risultare
particolarmente difficile. L’insonnia infatti può essere un sintomo di
un altro disturbo, quale l’apnea notturna, o i disturbi del
ritmo circadiano, disturbi psichiatrici.
Quando una persona lamenta difficoltà a dormire, deve essere effettuata
a breve termine un’indagine approfondita per garantire una corretta
diagnosi e iniziare un trattamento sintomatico. La chiave è raccogliere
un’adeguata storia del sonno per avere un’idea della natura, gravità e
durata del problema.
La decisione sull’opportunità di trattare farmacologicamente
l’insonnia, gli obiettivi del trattamento e i farmaci da usare sono
spesso complicate dalla resistenza psicologica molte volte associata
all'insonnia.
Quali sono le terapie disponibili oggi
Per individuare la terapia più adatta è comunque importante rivolgersi al proprio medico curante e, laddove necessario su suo consiglio, a uno specialista del sonno che potrà porre la diagnosi corretta.
I dati finora disponibili suggeriscono che gli interventi farmacologici
diano una risposta rapida. La combinazione di terapie
comportamentali e farmacologiche può risultare molto utile. Infatti,
l’associazione tra la terapia farmacologica e quella cognitiva
comportamentale si dimostra più efficace e duratura. La decisione su
quale farmaco utilizzare dovrebbe basarsi sui sintomi e sugli obiettivi
del trattamento.
I principi attivi più comunemente prescritti in Italia e nel mondo per
il trattamento dell’insonnia sono le benzodiazepine ed altri preparati
specifici, non benzodiazepine, che agiscono sui disturbi del sonno.
Questi farmaci sintomatici che offrono un sollievo immediato dovrebbero
essere utilizzati per un periodo non superiore ai 2-3 mesi e
naturalmente sotto accurato controllo medico. Se il disturbo persiste
il medico dovrebbe ricorrere ad altri farmaci (es. antidepressivi)
utili nel trattamento a lungo termine e così evitare l’insorgenza di
dipendenza e tolleranza.
È possibile, inoltre, prevenire l’insonnia instaurando una corretta
igiene del sonno ad esempio andare a letto solo quando si è assonnati,
evitare i sonnellini diurni, evitare o diminuire nelle ore serali il
consumo di nicotina, alcool, caffeina e pasti pesanti.
Si ringrazia la SIF
– Società
Italiana di Farmacologia per la collaborazione
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