Endometriosi


Cenni storici
Il primo testo scientifico che descrive l’endometriosi è la “Disputatio Inauguralis Medica de Ulceribus Ulceri” risalente al 1690 a opera di Daniel Shroen, un medico tedesco. In questo trattato vengono descritte le piaghe diffuse a livello di stomaco, vescica, intestino e legamenti vasti e la loro tendenza a formare aderenze. Quasi un secolo dopo, nel 1769, Arthur Duff descrive l’intenso dolore e le sofferenze patite dalle donne colpite da endometriosi. Il riconoscimento dell’endometriosi come malattia risale al 1860, ad opera di Karl Freiherr von Rokitansky, patologo austriaco, che descrive la malattia riferendosi a essa con il termine di “adenomioma”. Il nome endometriosi nasce solo nel 1925, da “endometrium” (il tessuto che riveste l’utero) e “-osis” (anormale).

Che cos’è l’endometriosi?
Non è un tumore ma una condizione in cui il tessuto che normalmente riveste l’utero, l’endometrio, cresce in organi diversi dall’utero stesso, quali ovaie, vescica, intestino, reni o peritoneo (tessuto di rivestimento della cavità addominale). Questo tessuto continua a crescere, nonché a rispondere agli stimoli ormonali (in particolare agli estrogeni) come se si trovasse ancora nell’utero: si ispessisce, si sfalda e sanguina con ogni ciclo mestruale. Il sangue, però, non potendo essere eliminato dall’organismo come avviene quando si trova nell’utero, rimane intrappolato, provocando infiammazione dei tessuti circostanti e conseguente formazione di cicatrici e aderenze. Ciò determina un irrigidimento degli organi colpiti e una perdita della loro funzionalità, generando dolore, a volte anche molto intenso.

Quanto è diffusa?
Si stima che circa 1 donna su 10 in età fertile sia colpita da un qualche grado di endometriosi.
In Italia, tre milioni di donne ne soffrono, di cui il 30 per cento in età fertile. L’incidenza è spesso sottovalutata, con un ritardo nella diagnosi: sono stimati sette anni dalla comparsa dei primi sintomi alla corretta diagnosi.

Da che cosa è causata?
Una teoria che spiega l’origine dell’endometriosi è la cosiddetta “mestruazione retrograda”, secondo la quale sangue mestruale contenente cellule endometriali passa dall’utero alla cavità addominale attraverso le tube di Falloppio.
Questa teoria da sola, però, non è in grado di spiegare la patologia, che potrebbe essere causata dalla trasformazione in tessuto endometriale di alcune aree del rivestimento addominale e della cavità pelvica, anche se non è ancora chiaro quale sia il fattore scatenante (teoria metaplastica).

Esistono fattori di rischio?
Alcune condizioni possono aumentare il rischio, per esempio non aver mai avuto gravidanze, parenti di primo grado con endometriosi, cicli mestruali di durata inferiore a 27 giorni, pregresse infezioni alla pelvi.

Come viene diagnosticata?
Sulla base della valutazione dei sintomi, il medico prescrive una serie di esami strumentali quali l’esame della pelvi, l’ecografia o la laparoscopia.
L’esame della pelvi si effettua mediante palpazione da parte del medico, mentre l’ecografia è un esame che consente di visualizzare gli organi interni utilizzando una sonda che emette ultrasuoni. La laparoscopia è l’unica tecnica che consente di ottenere una diagnosi certa. Si tratta di una procedura chirurgica che consiste nell’esecuzione di tre o quattro incisioni sull’addome attraverso le quali viene inserito uno strumento a fibre ottiche che permette al chirurgo di visualizzare gli organi dall’interno e di valutare l’entità e la diffusione dell’endometriosi.

Quali sono i sintomi?
Il sintomo principale è il dolore pelvico, anche intenso, persistente, o che si manifesta in corrispondenza del ciclo mestruale (dismenorrea). Altri sintomi comprendono dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia), dolore mentre si urina, mestruazioni abbondanti (menorragia) o sanguinamenti tra una mestruazione e l’altra (spotting) nonché sintomi minori quali affaticamento cronico, diarrea, stipsi, nausea.
L’intensità del dolore non è un indicatore dell’entità dell’endometriosi: piccole formazioni possono, infatti, provocare un dolore molto intenso.
Durante la gravidanza si può verificare una sospensione temporanea dei sintomi della malattia, che cessano in modo permanente con la menopausa.

Quali sono i trattamenti?
Il trattamento, ancora oggi non risolutivo, può essere chirurgico e medico. Il primo prevede l’asportazione delle lesioni endometriosiche. Può essere eseguito per via laparoscopica (poco invasivo, in anestesia totale) o laparotomica (più invasiva, richiede il taglio dell’addome). Nonostante l’obiettivo sia sempre quello di conservare gli organi, nei casi più gravi, quando non sono più funzionanti, può rendersi necessaria l’asportazione dell’utero (isterectomia) e/o delle ovaie (annessiectomia), la resezione dell’intestino o l’asportazione di un rene. Tuttavia, interventi radicali di questo tipo sono sempre più rari. Il secondo prevede terapie farmacologiche mirate a ridurre il dolore (antinfiammatori non steroidei, FANS, e nei casi più gravi narcotici) e terapie ormonali, quali composti estroprogestinici (pillola anticoncezionale) somministrati per lunghi periodi, oppure farmaci che inducono uno stato di pseudogravidanza (progestinici) o di pseudomenopausa (analoghi dei GnRH, l’ormone di rilascio delle gonadotropine ipofisarie).

L’endometriosi può causare infertilità?
La correlazione tra questa patologia e l’infertilità è ancora oggi oggetto di studio, anche se attualmente ne è ritenuta una delle tre principali cause. Si stima che il 30-40% delle donne con endometriosi non riesca a iniziare o portare a termine una gravidanza. Alcune ricerche sembrano indicare che la malattia provochi modificazioni nell’utero tali da impedire l’impianto dell’uovo fecondato. Altri studi stanno valutando se l’endometriosi modifichi l’ovulo o ne impedisca, una volta fecondato, il passaggio nell’utero.
Sono tuttavia molte le donne con endometriosi lieve o moderata che sono in grado di concepire e di portare a termine una gravidanza.


Si ringrazia la SIF – Società Italiana di Farmacologia per la collaborazione

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